domenica 2 giugno 2013

[A&C] A Monetary and Fiscal Framework for Economic Stability: A Friedmanian Approach to Restoring Growth


Il nome di Milton Friedman è generalmente associato alle politiche liberiste che sono state applicate dagli anni ‘70 in poi in molti paesi del mondo. Ma secondo Randall Wray se si legge bene un articolo del 1948 di Friedman si può arrivare a conclusioni differenti.

Wray osserva che nell’articolo del 1948 Friedman propone di finanziare il deficit di bilancio tramite la creazione pubblica di moneta (quindi impedendo alle banche private di crearne, tramite un coefficiente di riserva al 100%). Inoltre propone di fissare il pareggio di bilancio in corrispondenza del livello di pieno impiego dei lavoratori. In sostanza Friedman propone un mix di politiche fiscali e monetarie che agiscano in senso anticiclico: fare dei deficit finanziati dalla creazione monetaria in periodi di crisi e disoccupazione, arrivare al pareggio di bilancio quando la piena occupazione è raggiunta e fare dei surplus di bilancio nei periodi di boom economico. Ovviamente il surplus, al contrario del deficit, distrugge moneta. Quindi sia la spesa pubblica che le tasse devono essere fortemente cicliche. Inoltre il governo deve essere “grande”, almeno quanto l’ammontare dell’investimento privato. Al contrario di quello che si crede generalmente, Wray osserva come i cosiddetti trenta gloriosi sono stati caratterizzati più da una politica di stampo friedmaniano che keynesiano.

Un elemento che Friedman non aveva preso in considerazione era il defict estero, che ha caratterizzato il decennio del 1970 (per gli Usa). In questo caso, anche in presenza di pieno impiego, lo stato è obbligato a fare deficit di grandezza uguale a quello estero per evitare che il deficit si crei nel settore privato.

Gli anni ‘90 sono invece diversi. Questi sono stati caratterizzati da una situazione Goldilocks, cioè non troppo forte da creare inflazione ne troppo fredda da fare aumentare la disoccupazione. Quello che è avvenuto è che, a causa del deficit commerciale pre-esistente e dei surplus di bilancio dell’amministrazione democratica di Clinton, il settore privato ha accumulato un deficit (e quindi un debito) crescenti. Il boom economico di quegli anni è stato quindi finanziato dal debito privato, creando una situazione sempre più fragile: Wray condivide con Minsky l’idea che il debito pubblico sia più stabile di quello privato, e che sebbene non sia possibile una politica di aggiustamenti progressivi (fine tunig), la crisi sia meno dura quando la crescita sia stata finanziata tramite il debito pubblico.

Il principale obiettivo di Wray è la “responsabilità fiscale” del Partito Democratico, che ha deciso di attuare politiche di surplus di bilancio, considerando come negativo il debito e il deficit. Al contrario Wray mostra che, in presenza di deficit commerciale, per evitare che la crescita del debito privato, che renderebbe fragile l’economia, il governo è obbligato ad essere permanentemente in deficit.

Nell’articolo vengono aggiunte due note interessanti. La prima è una proposta per rendere fortemente ciclico il bilancio rispetto alla piena occupazione. Wray propone che lo stato agisca come “datore di lavoro di ultima istanza”, cioè che implementi piani per occupare tutti quelli che non trovano un lavoro sul mercato. Secondo i suoi calcoli questi programmi, che sarebbero più ampi in periodi di crisi e che si ridurrebbero nei periodi di prosperità, sarebbero di ammontare equivalente alle fluttuazioni degli investimenti. In questo modo il bilancio aumenterebbe il deficit nei periodi di crisi, impiegando i disoccupati espulsi dal privato, e si ridurrebbe nei periodi di benessere, quando questi opterebbero per un lavoro privato meglio remunerato. La seconda nota riguarda il Messico, cioè un paese che non ha la stessa forza economica degli Usa, ma che potrebbe seguire le politiche di Wray/Friedman. L’unico limite, sembra dire Wray, sono le politiche sbagliate dei suoi governi.

Appunti e commenti

La scienza economica, soprattutto quando viene fatta dai grandi economisti, si mostra renitente a  farsi chiudere in schemi “biancho o nero”. I grandi economisti, come Friedman, anche quando sono estremamente conservatori e anti popolari, possono contribuire al progresso, a patto di saperne cogliere i pregi e tralasciarne i difetti. L’articolo di Wray si mostra un’intelligente mossa per utilizzare Friedman con la destra liberista.

Proprio a partire dal pensiero del primo Friedman, l’articolo evidenzia velocemente alcuni elementi di forte critica verso i governi di sinistra degli ultimi 20 anni, i democratici per gli Usa e i socialisti/socialdemocratici/laburisti europei. Il primo riguarda il deficit del bilancio pubblico. Molti governi di sinistra europei, per mostrare la propria propensione verso il libero mercato e la fede nella superiorità delle libera impresa privata, sono stati i protagonisti di politiche di riduzione della spesa pubblica: in Europa questo è stato fatto sotto la minaccia del bastone europeo (ma anche per profonda convinzione), negli Usa è stata una libera scelta. Wray evidenzia come questo sia stato un elemento che abbia reso fragile l’economia, poiché alla diminuzione del deficit pubblico è aumentato il debito privato. Il deficit e la spesa pubblica quindi non sono cattivi, anzi, il loro uso rende meno dura la crisi ed evita che questa si trasformi in recessione. Di conseguenza il debito pubblico, liberato dai moralismi europei, non rappresenta un male, al contrario serve ad evitare che la crisi diventi recessione. L’attenzione al contrario deve essere spostata sul pieno impiego, un obiettivo che unisce Keynes e Friedman. La riduzione della disoccupazione deve essere l’obiettivo delle politiche di bilancio, che non troverebbero alcun limite nel debito, anzi, questo sarebbe lo strumento da utilizzare per finanziare i programmi come quello del datore di lavoro di ultima istanza.

Queste osservazioni parlano molto all’Europa, che proprio ora sta attraversando un periodo di dura recessione. Nell’articolo di Wray si trovano riassunte tutte le cause dell’attuale recessione europea: i deficit esteri, il terrore immotivato per il debito, il disinteresse per la disoccupazione. L’Europa sembra marciare in piena opposizione rispetto alle posizioni di Friedman e di Wray. La cosa che stupisce maggiormente è che queste politiche vengono applicate in ossequio al pensiero conservatore, che dice di ispirarsi al pensiero friedmaniano. Più che conservatrici queste sono politiche stupide, che si distanziano cretinamente dal pensiero del loro economista di riferimento. Al contrario l’Europa avrebbe bisogno di ristudiare quello che Friedman ha scritto e di partire da lì, come ha fatto giustamente Wray, per trovare soluzioni urgenti per l’oggi.

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