martedì 22 gennaio 2013

Recensione : Titanic Europa

La Costa Concordia
Per una incredibile coincidenza l’uscita della prima edizione del libro “Titanic Europa” di Vladimiro Giacché è avvenuta in contemporanea con il naufragio della Costa Concordia. E il naufragio della  nave al largo dell’isola del Giglio appare una perfetta metafora per l’attuale crisi. Infatti come la nave da crociera, anche l’economia europea sembra non riuscire ad uscire dal luogo del naufragio. E il dibattito sulle cause, così come sulla crisi europea, mostra una miriade di voci che rende difficile l’individuazione di una causa unica. E mentre si discute, il costo del salvataggio aumenta, mettendo sempre più in discussione l’effettiva possibilità dello stesso.

Il libro di Giacché nasce dall’esigenza di fare chiarezza in questo insieme disordinato di spiegazioni, spesso incoerenti e contraddittorie, che ci viene proposto dalle televisioni e dai giornali. Come recita il sottotitolo, questo libro è “la crisi che non ci hanno mai raccontato”. Al contempo Giacché vuole fare chiarezza sugli esiti e sugli effetti di questa crisi se l’Europa non cambia rotta alla nave. Ma perché ciò avvenga è necessario che prima si individuino in maniera chiara e univoca la posizione in cui la nave Europa si trova e la rotta che l’ha portata a questo disastro.

In linea con quanto aveva scritto nel libro “La fabbrica del falso”, Giacché parte mostrando come questa crisi sia stata raccontata a rovescio e che, per sostenere questa visione rovesciata, siano stati diffusi luoghi comuni spesso anche con evidenti segni razzisti. La prima cosa che viene chiarita è che questa crisi non è finanziaria, bensì reale: la finanza è l’effetto di una crisi produttiva iniziata decenni addietro. Il debito privato (negli Usa) e quello pubblico (in Europa) sarebbero la risposta alla crisi capitalista che ha colpito il mondo negli anni ‘70. Per uscire da tale crisi si sono ridotti i salari e lo stato sociale. Per non diminuire le possibilità di realizzo, si è al contempo permesso ai lavoratori di indebitarsi e di consumare. La finanza sarebbe quindi una droga che ha permesso al sistema di evitare le conseguenze della crisi iniziata con la fine di Bretton Woods.

Da questo punto di vista, il debito europeo non è più il risultato di politiche dissolute dei governi mediterranei lontani dal rigore nordico. La conseguenza è che non c’è alcuna ragione morale dietro l’austerità. In una visione molto religiosa infatti l’austerità sarebbe la sofferenza del purgatorio attraverso cui passare per ritornare nel paradiso della crescita economica. Salvo che questo purgatorio lo si fa pagare ai lavoratori stessi, che oltre ad aver visto i proprio salari diminuire negli ultimi 40 anni, ora si trovano anche la colpa di un debito pubblico contratto per sostenere i profitti delle imprese. Giacché mostra come molti dei luoghi comuni sui greci, come per esempio il fatto che lavorino poco, siano completamente falsi e che al contempo siano funzionali agli interessi della finanza e dei creditori stranieri.

Se l’analisi sulle cause della crisi cambia, le soluzioni proposte non possono restare le stesse. L’austerità, cioè quel combinato micidiale di riduzione della spesa pubblica e di riduzione dei salari, oltre ad essere ingiustificata si mostra infatti inutile e addirittura dannosa. In questa ostinazione nell’imposizione dell’austerità a fronte di risultati nulli o perversi si mostra la resistenza del pensiero unico liberista: la crisi economica in sostanza non porta con sé la crisi del pensiero unico che ne è alla base.

 La premessa per implementare politiche economiche diverse è la fine di questo pensiero unico. Sarebbe infatti necessario il riconoscimento che i mercati non sono razionali e che quindi sia necessario un intervento dello stato in economia al fine di guidarla per il perseguimento di obiettivi sociali. In particolare sarebbe necessario l’intervento pubblico nel sistema bancario, in modo da poter orientare le politiche delle banche e contrastare la finanza speculativa. E sarebbe necessaria una Bce che potesse svolgere il compito di prestatore di ultima istanza, sollevando così gli stati dai ricatti della finanza internazionale.

In sostanza, per Giacché, questa crisi ha mostrato che se non è possibile uno stato senza mercato (come ha mostrato il crollo del muro di Berlino), al contempo non è possibile un mercato senza stato (come mostra il crollo del muro di Wall Street).

In questa seconda edizione del libro, Giacché aggiunge un capitolo finale su quello che è avvenuto (o su quello che non si è fatto) nell’ultimo anno. Della prima parte niente è cambiato e purtroppo le previsioni passate appaiono confermate.

Sebbene la prima edizione del libro abbia avuto un’ottima diffusione, sembra che nessuno dei politici europei lo abbia letto. Le politiche di austerità sono continuate e hanno confermato quanto scritto da Giacché. Alcuni ripensamenti sembrano esserci stati (da parte del FMI e della Corte dei Conti italiana), ma sono stati troppo timidi. I risultati sono l’aumento della disoccupazione di massa, il ritorno della povertà e il peggioramento di tutti gli indicatori economici delle economie mediterranee.  Con l’effetto perverso di riportare la crisi da dove questa era cominciata: dalle banche. La crisi del debito pubblico europeo mette in grave difficoltà il sistema bancario europeo, che detiene in portafoglio i titoli del debito. E le banche che maggiormente sarebbero colpite da questa crisi sarebbero le banche tedesche e del nord Europa.

Ma quali soluzioni sono possibili oggi? Quella di uscire dall’Europa appare non priva di difficoltà, in primis per le economie del nord europa (oltre che per i lavoratori del sud). Ma questa Europa, così come è stata pensata a partire dal pensiero neoliberista, non può uscirne, nemmeno se, come ci viene detto oggi, ci fosse “più Europa” e un’”Europa Politica”.

Per tornare alla metafora iniziale, come osserva Giacché, “ Se il timoniere non vuole cambiare idee e rotta, resta pur sempre un’altra possibilità: cambiare il timoniere”.

Citazione:

“I programmi di riduzione del debito e di austerità in Europa delineano perciò una strategia ben precisa di uscita dalla crisi: far sgonfiare la bolla del debito dal lato del debito pubblico ( e non da quello delle imprese private), far pagare la crisi ai redditi da lavoro – e a beneficio di alcune categorie di imprese private – ampliare i mercati estendendoli a settori sinora sottratti ad esso, redistribuire i rapporti di forza non soltanto tra lavoro e capitale, ma anche tra i capitali localizzati in diversi paesi” Pg. 122

Vladimiro Giacché
Titanic Europa
La crisi che non ci hanno raccontato

seconda edizione
Aliberti editore, 2012, 15 euro

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Pubblicato su:

http://www.marx21.it/internazionale/europa/21650-titanic-europa-recensione-della-seconda-edizione-del-libro-di-vladimiro-giacche-.html

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