domenica 11 marzo 2012

Le variabili nascoste delle contro-riforme pensionistiche

Manifestazione in difesa delle pensioni
Luciano Gallino scriveva quasi di dieci anni fa:
“Vi sono fenomeni della natura di cui è possibile costruire una spiegazione molto complicata solo assumendo che esistano delle variabili nascoste alla percezione dell'osservatore. Esistono invece dei fenomeni sociali che vengono spiegati con grande semplicità dallo stesso osservatore nascondendo al pubblico la maggior parte delle variabili. Rientrano in questa categoria le proposte di riforma delle pensioni ipotizzate dal governo.”(1)
L’osservazione di Gallino appare quantomai attuale. Oggi come allora, la visione parziale che ci è fornita dai media gioca un ruolo determinante nella formazione dell’opinione di molti lavoratori.

Cerchiamo allora di presentare le variabili che ci sono state nascoste e di spiegare il ruolo che svolgono all’interno di un sistema pensionistico pubblico.

Il mito dell’eccessiva spesa pensionistica
Partiamo dal rapporto tra spesa pensionistica e la ricchezza prodotta (il Pil), sul quale si concentrano tutte le ipotesi di contro-riforma.

Si possono fare tre osservazioni. La prima riguarda la difficoltà nel fare previsioni sulla spesa pensionistica da qui a 30-50 anni, poiché le variabili potrebbero cambiare la propria traiettoria per una moltitudine di fatti non prevedibili al momento (guerre, boom economici, etc)(2). La seconda è che se il numero dei pensionati aumenta e la spesa pensionistica cala, questo significa banalmente abbassare drasticamente la pensione e le condizioni di vita di moltissime persone. La terza riguarda la “dipendenza” degli anziani rispetto ai giovani: se è vero che oggi si assiste a un alto tasso di dipendenza tra anziani e giovani, è anche vero che questo rapporto in passato era invertito(3).

Occupazione

Un aumento del numero dei lavoratori occupati permetterebbe di aumentare il finanziamento del sistema pensionistico, poiché sarebbero versati maggiori contributi. Questo significa che la disoccupazione è uno dei nemici del sistema pensionistico pubblico. Per risolvere questo problema sono necessarie politiche economiche che abbiano come obiettivo la piena occupazione di tutti i lavoratori. La disoccupazione degli ultimi decenni, a causa anche del ritrarsi del ruolo dello stato nell’economia, non ha permesso il raggiungimento di questo importante obiettivo.

Produttività

Si può notare che, se aumenta il numero di pensionati per ogni lavoratore attivo, è anche vero che ogni lavoratore produce ogni anno di più rispetto all’anno precedente. È quindi parziale parlare di un rapporto eccessivo tra pensionati e lavoratori senza considerare gli aumenti di produttività. Le pensioni sono una parte della produzione corrente. La diminuzione del peso dei salari sulla ricchezza prodotta, così come una distribuzione degli aumenti della produttività a favore dei profitti, hanno creato forti difficoltà ai sistemi pubblici. La diffusione di lavori precari contribuisce ulteriormente ad abbassare sia la produttività del sistema, sia la distribuzione della stessa a favore del lavoro.

Fertilità

Al contrario di quello che viene detto sui grandi mezzi di informazione, la causa principale dell’aumento dell’età media è dovuto al crollo della natalità. A questo fenomeno si sono aggiunte due cose molto positive come la maggiore longevità e il crollo della mortalità infantile. Un modo per sostenere il sistema pensionistico é quello di agire sulla fertilità. Spesso ci viene detto che questa dipende esclusivamente dalle scelte individuali delle donne o delle famiglie, ma molti studi e molti casi concreti mostrano che non è così. Nello specifico diversi studi mostrano come le decisioni legate alla riproduzione siano dipendenti dal mercato del lavoro(4), dalle diseguaglianze di genere in esso e dalla disoccupazione. Per aumentare la fertilità sono necessarie quindi politiche di pieno impiego, di riduzione della precarietà (5), un aumento di posti di lavoro pubblici(6), politiche di promozione dell’uguaglianza di genere(7) (al posto di politiche di promozione della famiglia).

Speranza di vita


Sebbene sia vero che le aspettative di vita si sono allungate, è peraltro vero che questo aumento non è uniforme, e che anche nella morte ci sono forti differenze di classe. Purtroppo non mi è stato possibile trovare dati sull’Italia, ma sono disponibili quelli su altri paesi. Negli Stati Uniti, i neri e i lavoratori a basso reddito hanno una speranza di vita inferiore alla media(8). In Europa, ci sono grosse differenze tra i lavoratori con un alto grado di istruzione e quelli con un basso livello(9). In Francia l’istituto di statistica calcola la speranza di vita in buona salute (cioè senza incapacità) e mostra come tra i quadri e gli operai ci siano differenze di oltre 10 anni: gli operai in sostanza portano una doppia pena, più anni in stato di incapacità totale o parziale, all’interno di una vita più corta(10). Ma se questa è la realtà, l’età pensionabile e il suo aumento sono come la media dei polli di Trilussa: non solo gli operai lavorano più tempo, ma ricevendo la pensione per meno anni si trovano a finanziare con i propri contributi le pensioni dei più ricchi e più in salute della società. Una classica redistribuzione al contrario.

Per una vera riforma delle pensioni

La funzione della pensione per il singolo lavoratore è sicuramente quello di sostenere il reddito nel periodo finale della vita. A livello macroeconomico però la funzione di un sistema pensionistico è quello di sostenere la domanda aggregata, evitando che ci siano brusche cadute del reddito dovute alla fine dell’attività lavorativa. Questo implica che deve essere eliminato il criterio assicurativo inserito nei sistemi pubblici, che lega l’ammontare della pensione alla somma dei contributi versati durante la vita lavorativa. Al contrario risulta necessario che la pensione non si discosti molto dall’ultimo salario percepito.

Di conseguenza va considerata sbagliata la visione della pensione come “salario differito”. Al contrario la pensione è redistribuzione del prodotto attuale tra la parte attiva della popolazione e quella che non lo è più. Appare quindi chiaro che le pensioni entrano pienamente nella lotta distributiva tra lavoro e capitale.  È quindi da rigettare la visione che inserisce il sistema pensionistico nel conflitto generazionale tra “padri” e “figli”: la diminuzione della pensione dei padri, oltre che essere ingiusta ed economicamente dannosa, comporta la diminuzione (non l’aumento!) della futura pensione dei figli. Solo una migliore distribuzione della produttività, dove prevalga il lavoro rispetto al capitale, potrà permettere di migliorare le pensioni degli odierni giovani e futuri pensionati.

Questo crea una interdipendenza tra lotte dei pensionati e lotte dei lavoratori. Le lotte contro la precarietà, contro la disoccupazione, per la sanità, per i diritti delle donne sul lavoro e sulla società sono anche lotte per un diverso sistema pensionistico. Al contempo è necessario fare rientrare la lotta per un sistema pubblico a ripartizione all’interno delle lotte sindacali più generali.

Decenni di pensiero unico ci hanno fatto dimenticare quello che il movimento operaio ha sempre saputo molto bene. Le pensioni rientrano nella più generale lotta tra le classi, e solo un avanzamento in questa lotta potrà permettere un miglioramento delle condizioni di vita tanto dei pensionati che dei lavoratori, tanto dei giovani che degli anziani.

In sostanza il dibattito sulle pensioni ci interroga su quale tipo di società vogliamo. Come osserva Cesaratto(11):


“Allora si capisce come il problema della sostenibilità finanziaria e sociale dell’invecchiamento è politico in senso lato: che tipo di società vogliamo disegnare, egualitaria e solidale, oppure ingiusta?”

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(1) Gallino L. , Le variabili nascoste , La Repubblica, 8/7/2003. http://www.repubblica.it/online/politica/verificadue/gallino/gallino.html

(2) Gattei G. , Lo spauracchio della “gobba pensionistica”, ovvero come si fabbrica un’opinione pubblica , Proteo n.1 2000 , http://proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=68

(3) Bellofiore R., Il capitalismo dei fondi pensione , La rivista del manifesto, n.10 , ottobre 2000.
    “Si dimentica spesso che se gli anni a venire sono segnati dall’”invecchiamento” della popolazione, gli anni della crescita veloce del secondo dopoguerra furono anch’essi caratterizzati da un elevato tasso di dipendenza in conseguenza degli allora elevati tassi di fertilità, e quindi per il peso che negli inattivi aveva il numero elevato di giovani in età non da lavoro”
(4) Alicia Adsera, 2005. "Vanishing Children: From High Unemployment to Low Fertility in Developed Countries," American Economic Review, American Economic Association, vol. 95(2), pages 189-193, May.


(6) Adsera, Alicia, 2005. "Where Are the Babies? Labor Market Conditions and Fertility in Europe," IZA Discussion Papers 1576, Institute for the Study of Labor (IZA).

(7) Jan M. Hoem, 2005. "Why does Sweden have such high fertility?," MPIDR Working Papers WP-2005-009, Max Planck Institute for Demographic Research, Rostock, Germany.

(8) Weler C. , Don’t raise the retirement age, Challenge, vol. 45, no.1 , Jan/Feb 2002 , pag. 75-87

(9) Eurostat , Highly educated men and women likely to live longer , Life expectancy by educational attainment , 24/2010

(10) INED , La « double peine » des ouvriers :plus d’années d’incapacité au sein d’une vie plus courte, Population & Sociétés , n. 441 , jan 2008
    INSEE , L’espérance de vie s’accroît, les inégalités sociales face à la mort demeurent , INSEE PREMIERE , n.1372 , oct 2011

(11) Cesaratto S., Invecchiamento della popolazione, mercato del lavoro e welfare:un’introduzione critica , Studi e note di economia, Anno XIV , n. 3-2009 , Pag. 395-429

2 commenti:

  1. non nulla da eccepire sulle tue considerazioni, ma ti sei scordato di dire che ad oggi la spesa pensionistica inghiotte il 30 % delle entrate statali...

    a volte i numeri fanno comodo

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    1. Non è vero. E ti chiedo se puoi portare dei dati.

      Peraltro, al contrario di quello che dicono i media, la spesa pensionistica non grava sul bilancio statale, ma è pagata con i contributi dei lavoratori attivi. Anche fosse del 100%, non avrebbe influsso sul bilancio statale.

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