mercoledì 27 maggio 2015

La crisi e la ricerca economica: cosa studiano gli economisti

Stiamo vivendo una crisi economica che dura ormai dall'estate del 2007. A tutt'oggi non ci è stato spiegato come sia possibile che una crisi di queste dimensioni non sia stata prevista e prevenuta per tempo. Cosa è successo? Come mai nessun economista ha avvertito del pericolo che si avvicinava?


Cosa hanno studiato gli economisti

Il dibattito che si osserva sui giornali o in televisione è solo la fine e la semplificazione del più ampio dibattito accademico. Il confronto scientifico tra gli economisti si svolge su riviste specializzate, pubblicate o dalle principali università, o da grandi case editoriali. La redazione di queste riviste è assegnata ad economisti che hanno il compito di selezionare quali articoli pubblicare, chiederne modifiche o sottoporli al parere di altri ricercatori esperti in quello specifico tema. Ogni rivista viene classificata secondo il numero di citazioni che i propri articoli ricevono (l'impact factor): quanto più viene citata, tanto più la rivista è importante(1). La lettura di queste riviste (che tranne alcuni casi, non sono alla portata dei non economisti) può dare un'idea di quali sono i temi su cui si sono concentrati gli economisti negli ultimi anni.

E proprio questo fa l'articolo Lea Kosnik. Non potendo leggere materialmente tutti gli articoli pubblicati negli ultimi 50 anni, usa un metodo automatizzato e l'aiuto di un computer per analizzare gli articoli. L'attenzione si concentra sulle prime 7 riviste economiche per importanza e compre un lasso temporale che va dal 1960 al 2010. In questi 50 anni sono stati pubblicati circa 20'000 articoli, un campione che quindi può rappresentare bene cosa è stato studiato e come è cambiato l'interesse accademico rispetto ai vari temi.

I risultati principali di questa ricerca sono tre.

1) La microeconomia, quella parte dell'economia che studia le relazioni tra singoli soggetti economici, è il tema più studiato. Seguono a molta distanza il lavoro e la macroeconomia (quella che studia al contrario le grandi relazioni economiche tra stati, tra classi sociali e in generale tra i grandi aggregati).

2) La macroeconomia osserva un costante declino dagli anni '70 in poi. Su 19 temi di ricerca considerati, gli unici due che cambiano considerevolmente la propria frequenza negli articoli sono la macroeconomia e la microeconomia: al costante declino della prima corrisponde un aumento di interesse per la seconda.

3) Un crescente utilizzo della matematica negli articoli economici.

A questo si aggiunge un aumento di interesse crescente per le microfondazioni della macroeconomia: anche quando si parla di fenomeni macroeconomici, spesso gli articoli li trattano come aggregazioni di fenomeni micro. Questo fatto è dovuto sicuramente alla direzione presa dalla disciplina dagli anni '70 in poi e al sempre più forte distacco dall'orientamento di Keynes.

Le conseguenze


Il filosofo tedesco Hegel affermava che “la Verità è il Tutto”, un insegnamento che sembra essere stato dimenticato dagli economisti.

Una delle accuse che infatti viene mossa agli economisti è quella di non aver previsto e riconosciuto la crisi che stiamo vivendo, spesso nemmeno quando questa era già diventata conclamata, continuando ad affermare per anni che sarebbe stata breve e che l'uscita era imminente. Come osserva l'articolo “E' notevole che negli anni precedenti la crisi, l'attenzione per la macroeconomia sia declinato”. Negli anni si è fatta strada l'idea che i fenomeni macroeconomici non siano altro che la somma di tanti fatti microeconomici, che insomma le scelte di consumo del singolo consumatore e le decisioni di investimento del singolo imprenditore (aggregate assieme) fossero le uniche determinanti dei grandi aggregati economici (il Pil, l'inflazione etc). In sostanza si è negata un'influenza dei fenomeni macroeconomici su quelli micro: la direzione per l'interpretazione era unicamente dal basso verso l'alto. In sostanza si vedeva il tutto solamente come somma delle parti e non come qualcosa che viene prima e influenza esso stesso i comportamenti microeconomici. Un esempio per capire questo errore è quello della folla: sicuramente questa è composta da tutti gli individui che ne fanno parte, ma ha un'identità a sé stante, e influenza il comportamento dei singoli individui che la compongono che compiono così atti che, al di fuori di quel momento, non compirebbero. Pensare a una folla come alla somma di singoli individui slegati dalla situazione e dagli altri individui ha portato gli economisti a fare analisi povere che non hanno saputo prevedere la crisi.

Ma la matematica serve?


Il secondo fenomeno descritto è quello del crescente utilizzo della matematica negli articoli economici. Sebbene questo possa sembrare per alcuni un dato positivo che aumenta la precisione previsionale della disciplina, è al contrario un altro sintomo della direzione sbagliata presa dall'economia.

Gli economisti liberisti hanno infatti cercato di trasformare l'economia da scienza sociale (quindi influenzata dalle altre scienze sociali, una scienza non perfetta e non completamente descrivibile) in una scienza pura, che seguisse quindi il modello della fisica. Questo ha portato a un utilizzo sempre più marcato della matematica al fine di descrivere il movimento della realtà, come la fisica lo fa di un grave in moto. I modelli hanno così fatto sempre maggiore astrazione dai fenomeni sociali, politici e culturali che disturbano la precisione matematica e la capacità di previsione, per andare verso modelli che semplificano e uniformano la realtà economica. In seguito, vista la distanza tra il modello e il loro funzionamento e la realtà, si è cercato di obbligare la realtà a conformarsi al modello, esempio di perfezione rispetto a una realtà ancorata a vecchie influenze sociali di tempi imperfetti.

Inoltre vi è stato quindi un abuso della matematica, uno strumento necessario ma non sufficiente per lo studio dell'economia, al fine giustificare conclusioni come imparziali politicamente e socialmente. Non era l'orientamento ideologico dell'economista a determinare le conclusioni dei modelli, ma un'asciutta e asettica dimostrazione matematica, valida per ogni stato in ogni tempo. Da  questo nascono espressioni diventate famose come il TINA (there is no alternative, non c'è alternativa), usata dalla Tatcher in poi per giustificare misure fortemente antipopolari, o l'”It's economy, stupid”, usato da Bill Clinton nella sua prima campagna elettorale, per dire che non c'erano differenze programmatiche in materia economica, ma solo proposte più o meno efficienti.

Il risultato è la sottrazione del dibattito economico dalla sfera politica e democratica. Da una parte a chiunque contestasse i risultati di queste ricerche, veniva risposto appunto che erano le uniche e necessariamente giuste. Dall'altra l'uso sovrabbondante della matematica ha reso la ricerca economica materia esclusiva per economisti specializzati: chiunque non conosca strumenti avanzati di matematica, non può comprendere le ricerche che vengono portate avanti e deve accontentarsi di accettarne le conclusioni.

E' auspicabile che tutto questo finisca e che l'economia cambi direzione nuovamente. Va notato che non tutti gli economisti hanno abbandonato lo studio della Macroeconomia e che non tutti accettano l'uso della matematica come unico strumento di descrizione della realtà. Molti economisti eterodossi rifiutano questa direzione e cercano, seppur lontano dai riflettori e con pochi mezzi, di portare avanti uno studio alternativo dell'economia, che sia più aderente alla realtà, in dialogo con altre scienze sociali e interno al dibattito sociale e politico.

Note

(1) Questo sistema di classificazione è tanto diffuso quanto criticato per le distorsioni che provoca.



Lea Kosnik, 2015. "What have economists been doing for the last 50 years? A text analysis of published academic research from 1960-2010," Working Papers 1006, University of Missouri-St. Louis, Department of Economics. 

Abstract: This paper presents the results of a text based exploratory study of over 20,000 academic articles published in seven top research journals from 1960-2010. The goal is to investigate the general research foci of economists over the last fifty years, how (if at all) they have changed over time, and what trends (if any) can be discerned from a broad body of the top academic research in the field. Of the 19 JEL-code based fields studied in the literature, most have retained a constant level of attention over the time period of this study, however, a notable exception is that of macroeconomics which has undergone a significantly diminishing level of research attention in the last couple of decades, across all the journals under study; at the same time, the "microfoundations" of macroeconomic papers appears to be increasing. Other results are also presented.
Keywords: text analysis; economics research; research diversity; topic analysis.

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