venerdì 3 maggio 2013

Il finanziamento pubblico ai partiti: oltre le ideologie dominanti (seconda parte)

Il Parlamento
(qui la prima parte)

Stato sociale e interessi privati: il ruolo dei partiti e dell’industria della comunicazione

Se ci riferiamo al ruolo dei partiti all’interno della rappresentanza istituzionale, possiamo attribuirgli due funzioni. La prima è quella rappresentare la società nazionale e i differenti interessi che la compongono (bottom-up). La seconda è quella di pubblicizzare e sostenere nella società le conquiste ottenute durante la permanenza nelle istituzioni (top-down). In particolare, per quanto riguarda i partiti nati dal movimento operaio, il loro compito è a lungo stato quello di creare consenso attorno alla riforma del ruolo dello Stato e alla creazione di uno Stato Sociale in favore degli strati popolari. Questo lavoro si è scontrato con due problemi: il primo è la disparità di mezzi tra i partiti dei lavoratori e i rappresentanti del capitale; il secondo è il ruolo svolto dal sistema di comunicazione di massa.

Gunnar Myrdal, un economista svedese che è stato tra i pensatori del modello di welfare scandinavo, ha osservato come questi due problemi si intreccino. Infatti Myrdal ha scritto:
“I grossi interessi anonimi delle grandi imprese esercitano in molti modi un'influenza che è di rado equilibrata democraticamente dal potere dei lavoratori e dei consumatori.[...] I ricchi di solito sono liberi di “votare con il dollaro” per mezzo di contributi finanziari ai vari partiti politici che difendono i loro interessi e, per una strana estensione del principio della segretezza del voto, costoro possono normalmente mantenere anonimi i loro contributi. […].”(14)
A questa disparità tra i partiti nell’accesso al finanziamento privato, dove i partiti “borghesi” possono disporre di mezzi molto maggiori rispetto ai partiti “operai”, si aggiunge una forte disparità a livello di accesso all’informazione. Myrdal osserva che
“In questo sistema sociale antidemocratico e protezionista, un ruolo di somma importanza viene esercitato dall'industria delle comunicazioni nell'influenzare gli atteggiamenti e le scelte della masse e, dato che la libertà di comunicazione è uno dei principi basilari della democrazia, non è possibile usurpare in modo molto efficace la sua attività. Ma dato che si tratta di un'industria, è possibile usufruirne i servigi solo pagandoli, ed è diretta in base all'effettiva domanda di denaro. E, poiché influenza le masse, determina non soltanto le loro preferenze nel campo dei consumi, ma può altresì determinarne le opinioni sulle questioni politiche e i voti, e ciò colpisce la democrazia proprio nelle sue fondamenta.
Come ho già accennato, sotto l'influenza della propaganda per il consumo privato d'ogni genere di beni, non accompagnata da una campagna altrettanto efficace per il ricorso ai servizi forniti dalla società organizzata, gli elettori tendono a mantenere il livello delle spese pubbliche al di sotto di quello che sarebbe razionale. Ma da un punto di vista ancora più generale, le riforme intese a realizzare le effettive inclinazioni degli elettori, per esempio per quanto riguarda la ripartizione dei gravami fiscali o il controllo sugli affari, devono ovunque superare potenti inibizioni create dai servizi dell'industria delle comunicazioni comprati da persone o gruppi che hanno tutto l'interesse a mantenere lo status quo.”(15)
Il ruolo della comunicazione va quindi al di là della promozione dei prodotti di consumo, ma si pone come elemento di diffusione dei valori capitalisti e di una cultura favorevole all’economia privata e contraria a quella pubblica. Il controllo privato dell’informazione e della comunicazione distorce quindi l’opinione generale, e in particolare quella dei lavoratori, sostenendo direttamente e indirettamente politiche a favore degli interessi del capitale e contrari all’influenza pubblica in economia.

Il ruolo del finanziamento pubblico ai partiti, soprattutto per quel che riguarda i partiti progressisti, può quindi essere quello di colmare questa disparità rispetto agli avversari di classe. Grazie a questi finanziamenti possono cercare di contrastare, anche a livello informativo e comunicativo, la promozione unilaterale dei valori e delle politiche antipopolari. Inoltre anche gruppi o partiti che non provengono dalla storia del movimento operaio, ma condividono con esso alcune posizioni e alcune prospettive di progresso sociale, sarebbero maggiormente liberi di agire e potrebbero slegarsi dall’influenza diretta e indiretta del finanziamento privato.  

Quale partito?

Non si può d’altra parte nascondere che un elemento importante dell’avversione al finanziamento pubblico derivi dalla crisi dei partiti. I molti scandali nell’utilizzo dei finanziamenti pubblici hanno portato a domandarne la fine, poiché vengono visti come fonte di appropriazione personale, piuttosto che come strumento di democrazia. Le cause di questi comportamenti sono due, uno di origine economica e l’altro di radice storica e politica.

Il trionfo del liberismo ha segnato la fine del ruolo dello Stato in economia e quindi la fine del ruolo della politica nel deciderne indirizzi e sviluppi. Il liberismo sostiene che il maggiore benessere generale può essere raggiunto unicamente tramite l’instaurazione del libero mercato, dove le imprese siano libere di agire in regime di concorrenza e senza alcuna influenza diretta o indiretta dello Stato. L’intervento pubblico avrebbe effetti distorsivi e quindi determinerebbe una diminuzione del benessere. L’unica cosa che il liberismo chiede alla politica è l’applicazione di riforme per l’instaurazione di un regime di concorrenza perfetta, le privatizzazioni per eliminare la presenza dello Stato in economia e la flessibilizzazione del mercato del lavoro. Una volta ottenute queste, l’unico ruolo dello Stato è quello di osservare passivamente lo svolgimento del gioco economico. Una volta eliminato il ruolo della politica nell’economia, e quindi anche della regolazione degli interessi confliggenti, a questa non rimane che dedicarsi a temi etici e morali. Da un lato questi toccano scarsamente la vita delle persone, soprattutto in tempi di crisi. Dall’altro svuotano la politica della sua essenza naturale, cioè la rappresentanza degli interessi sociali. In mancanza di interessi pubblici da perseguire, molti parlamentari hanno preferito occupare il proprio tempo per seguire i propri interessi personali, determinando le degenerazioni che abbiamo letto negli ultimi anni. (16)

La seconda ragione alla base della crisi dei partiti è storica. La fine della contrapposizione tra il mondo socialista e quello capitalistico ha determinato la trasformazione dei partiti. La lotta ideologica, e l’importanza del suo esito, avevano determinato una mobilitazione generale della popolazione, pro o contro il mondo sovietico, organizzata in primis dai partiti e dai sindacati. Questi erano diventati enormi strumenti di formazione e di partecipazione popolare, per sostenere o per impedire che il paese finisse nello spazio di influenza socialista. Ogni persona doveva essere informata e ogni persona doveva essere mobilitata nello scontro. La democrazia e la partecipazione ai partiti ha qui toccato il suo apice. Quando questo scontro è finito, i partiti sono degenerati: da partiti di massa sono diventanti partiti di élites o  comitati elettorali a sostegno di personalità carismatiche. Il risultato è l’estraneità della popolazione alla loro vita, la distanza dalle loro decisioni e l’avversione verso i loro membri e i loro dirigenti. La gestione di questi partiti è quindi sempre più stata orientata a rispondere agli interessi personali dei pochi che vi partecipavano, sfruttando le risorse pubbliche a proprio vantaggio.

Come osserva Bazzocchi

“Se l’azione politica ha come caratteristica fondamentale quella della trasparenza, allora il dibattito politico si avviterà sempre sulla questione morale, sui comportamenti inadeguati di cittadini e politici, sul malaffare, su come fare a estendere le virtù civiche nella società e su come scegliere al meglio quei rappresentanti del popolo onesti e incorruttibili, fulgido esempio di ethos repubblicano, custodi cioè del bene comune, della cosa pubblica. Saranno sempre meno rilevanti le grandi questioni economiche e sociali e sempre più lo saranno le riforme, neutre e necessarie per rendere fluida la società, per disincagliarla dalle secche dei privilegi della casta. Si premieranno sempre più i singoli e le loro competenze e non più i soggetti collettivi e la politica avrà una dimensione sempre più locale, ammantata della retorica del bene comune, del territorio con i suoi comportamenti virtuosi e operosi e del “piccolo è bello”, salvo far finta che a livello internazionale i cosiddetti poteri forti non continueranno a decidere delle nostre vite. La politica sarà associata alla virtù, alla morale, sempre più caratterizzata da un rigorismo etico che esalterà i virtuosi e competenti difensori del bene pubblico. Ci troveremo nella paradossale situazione in cui quelle riforme che volevano una partecipazione più possibile estesa avranno invece creato un sistema politico sempre più caratterizzato dall’affidarsi al leader onesto incorruttibile e dall’esaltazione delle competenze specifiche per l’attuazione di riforme modernizzatrici, che sempre più escluderanno i meno istruiti e i ceti popolari che troveranno quell’ambiente loro ostile e decideranno di non essere più grande soggetto dell’emancipazione e della liberazione da significati e culture imposte, per vivere una “tranquilla” vita borghese, affetta dal privatismo e dalla non coincidenza tra ruolo sociale e cultura. Insomma, quelle riforme che volevano forme più avanzate di partecipazione e una democrazia sempre più trasparente non avranno fatto altro che favorire le élites e porzioni sempre più ristrette di popolazione”(17)
La reazione a questa situazione non può però essere il rifiuto dei partiti in quanto tali, poiché questo condurrebbe a regimi reazionari.  
“Chiedere l’abolizione dei partiti non significa altro che prospettare una società in cui non vi sia più conflitto sociale organizzato e critica del reale, con la sua ideologia e i suoi rapporti di produzione volti allo sfruttamento.”(18)
Al contrario è necessario invertire la tendenza, sia dal punto di vista ideologico che politico. Va sconfitto il liberismo, che ha emarginato gli interessi popolari dalla politica e dall’economia e bisogna promuovere la partecipazione di massa alla vita dei partiti e quindi della democrazia. Infatti
“La politica non ha bisogno di uomini onesti e competenti, ha bisogno della politica stessa, cioè della lotta contro il destino per la libertà, del conflitto sociale che infrange l’opacità di un mondo che sembra irriformabile a causa delle leggi economiche considerate naturali. […] La politica di chi vuole trasformare il mondo si fa allora affare di popolo organizzato che tiene insieme colti e incolti, abbienti e meno abbienti, dal momento che la lotta non è contro il malaffare per l’onestà, contro l’incompetenza per il sapere dei migliori, ma contro il destino per la liberazione. Una tale concezione della politica porta con sé anche un’idea di società civile e di Stato diverse da quelle dei riformatori che vogliono abolire i partiti in nome della trasparenza e della partecipazione degli individui sovrani. Ebbene, non è la società civile che deve esprimere la politica e allo stesso tempo limitarla e controllarla. È la politica che deve mettere in forma la società civile, luogo degli egoismi, degli interessi particolari, del privatismo borghese.”(19)
RIFERIMENTI

Myrdal, Gunnar. “I paesi del benessere e gli altri” Feltrinelli , 1962

Bazzocchi, Claudio. “Virtù e Fortuna. In difesa del partito politico”, Il ponte editore, 2012

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Note

(14) Myrdal , p.110

(15) Myrdal, p.111

(16) “La politica e il welfare state, assieme ai soggetti fautori del patto socialdemocratico – partiti , sindacati, associazioni di categoria e burocrazia statale – divennero sinonimo di corruzione, disinteresse del bene pubblico, doppiezza e inefficienza. Le forze sane del mercato avrebbero finalmente liberato la cosa pubblica  dai mille impedimenti dell’inefficienza e dei veti incrociati di tipo corporativo” Bazzocchi, p. 104

(17) Bazzocchi , p. 34-5

(18) Bazzocchi ,  p. 41

(19) Bazzocchi , p. 36-7

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