venerdì 29 giugno 2012

Recensione : Possibilità economiche per i nostri nipoti

La fine del problema economico


In tempi di crisi si tende a dare ascolto a qualsiasi accenno di luce in fondo al tunnel. Chiunque ci prospetti una soluzione, o una possibilità di soluzione alla crisi, sia esso un profeta o uno scienziato, riceve attenzione e ascolto. Ma pensare, proprio nel momento più acuto della crisi, che sia possibile non solo porre fine alla crisi (e alle crisi in generale), ma addirittura porre fine al “problema economico” è qualcosa che stupisce anche i più arditi utopisti.

Eppure questa possibilità venne posta da un grande economista come Keynes, che pubblicò il discorso “Possibilità economiche per i nostri nipoti” nel 1930, con la crisi economica che cominciava a mostrare i suoi effetti più duri. E il pensiero espresso da Keynes era tutt'altro che utopistico, ma era fondato su un'analisi scientifica dell'economia. E proprio ora, nel pieno della crisi il suo discorso viene ripubblicato e posto alla nostra attenzione.

Ma come poteva Keynes arrivare, attraverso un ragionamento logico e fondato, a conseguenze come il più folle dei profeti?

La tesi visionaria di Keynes si appoggia su un'analisi di lunghissimo periodo dell'economia: se le tendenze secolari che hanno fatto nascere e crescere l'economia capitalistica continuassero, in breve tempo sarà possibile raggiungere un livello di benessere diffuso tale per cui non ci saranno più problemi economiche e tutta la popolazione sarà libera dalla penuria, dalla ristrettezza e dalla scarsità. Addirittura Keynes si spinse a dire che, in un centinaio di anni, il problema economico sarebbe stato risolto o sarebbe stato vicino alla risoluzione.

Fino al 1700 il livello di vita degli uomini non è cambiato in maniera sensibile. D'altra parte, da quel momento in poi, questo ha fatto dei passi avanti notevoli, passi che hanno permesso di migliorare sensibilmente la produzione e il livello di vita. La causa di questo progresso economico è individuata da Keynes in due elementi: l'accumulazione di capitale e le innovazioni tecnologiche. Questo progresso è cominciato prima in maniera molto lenta quando, nel 1500, è arrivato in Spagna l'oro delle nuove colonie americane, che ha creato inflazione e ha permesso un fortissimo aumento dei profitti e con esso l'accumulazione di capitale, grazie alla forza degli interessi composti. A questo è seguito il secolo delle grande scoperte scientifiche applicate al processo produttivo, che hanno permesso di migliorare e aumentare la produzione. Grazie a questo meccanismo quindi è stato possibile innalzare il livello di vita generale della popolazione. Certo, questo processo non è stato lineare e non è indolore: da una parte ci sono le crisi, come quella che stiamo vivendo e che viveva il mondo occidentale al tempo di Keynes; dall'altro lo sviluppo tecnologico fa si che sia necessario meno forza lavoro e che si crei così disoccupazione tecnologica. Queste però sono per Keynes non reumatismi del sistema, ma disturbi della crescita. Se in sostanza continua a funzionare il meccanismo che ha funzionato negli ultimi 3 secoli (accumulazione + innovazioni tecnologiche), nel giro di qualche decennio sarà possibile raggiungere un il benessere per tutti. Per raggiungere questo stato di benessere generale è necessario che ci si impegni ad evitare guerre e tensioni sociali; a lasciare libera la scienza di ricercare ; controllare l'aumento della popolazione ; garantire un tasso di accumulazione adeguato. Se si fa attenzione a queste quattro semplici cose, secondo Keynes, il processo in atto, sebbene al momento ci faccia girare verso il pessimismo, ci porterà fuori dalla necessità.

E come sarà la società successiva? In queste poche pagine Keynes ne delinea i tratti, spingendosi così a immaginare un futuro post-economico. Di certo un tale cambiamento avrà enormi effetti sulla società. I cambiamenti più grandi saranno di due tipi.

Per prima cosa si dovrà affrontare
     “il problema più serio, e meno transitorio,come sfruttare la libertà dalle pressioni economiche, come occupare il tempo che la tecnica e gli interessi composti [ci] hanno regalato, come vivere in modo saggio,piacevole, e salutare”(1)

Millenni di lotta per la sopravvivenza non potranno essere cancellati in pochi decenni, per cui
    “Ancora per moltissimi anni l'Adamo in noi sarà così forte che ciascuno, per tenerlo buono, sentirà di dover lavorare ancora un po'. […] E dovremo fare di necessità virtù, mettere il più possibile in comune il lavoro superstite. Turni di tre ore, o settimane di quindici, potranno procrastinare per un po' il problema.”(2)

Ma il cambiamento sarà ben più profondo e riguarderà i valori che fino ad oggi hanno guidato la società. Quelli che oggi sono visti come valori diverranno vizi biasimevoli e
    “si tornerà a sostenere che l'avarizia è un vizio, l'usura un comportamento reprensibile,e l'avidità ripugna; che chi non pensa al futuro cammina più spedito sul sentiero della virtù e della saggezza. Dobbiamo tornare a porre i fini davanti ai mezzi , e ad anteporre il buono all'utile. Dobbiamo onorare chi può insegnarci a cogliere meglio l'ora e il giorno,quelle deliziose persone capaci di apprezzare le cose fino in fondo, i gigli del campo che non lavorano e non filano”(3)

Non può sfuggire come le descrizione fatte da Keynes e lo stesso stile con cui queste sono fatte lo avvicinino ad alcune pagine marxiane in cui questo si spinge a delineare l'economia socialista.

Ma proprio il confronto tra i due pone in evidenza i limiti di Keynes. Non c'è dubbio, a parere mio, che il problema economico sia transitorio. E sicuramente l'attuale forma economica, il capitalismo, contiene al suo interno la possibilità di superare il suddetto problema. Ma esso, pur in presenza di queste possibilità, non è in grado di portarci a superare la necessità e la scarsità. Il capitalismo crea ciclicamente un'aristocrazia operaia e dei ceti medi a cui dispensa uno stile di vita migliore. Ma non si può dimenticare che tutto questo è solo temporaneo. Il capitalismo è nato con la sottrazione delle terre comuni, con la loro privatizzazione, e con la contemporanea creazione di spossessati pronti a vivere alle dipendenze del capitale. Questo processo resta alla base del sistema capitalistico e impedisce che questo possa portarci al superamento del problema economico, che corrisponderebbe con il superamento del sistema capitalistico stesso. Oggi come allora il capitale ha bisogno di una forza lavoro lavoro pronta a vendere sul mercato il proprio lavoro, così come necessita di un esercito industriale di riserva (i disoccupati, i sotto-occupati, i precari), per tenere basso il salario.

Il superamento di questo stato di cose quindi non può essere disgiunto, e questo è il limite di Keynes, dall’organizzazione per il superamento stesso del capitalismo.

Citazione
    “Nel momento in cui l’accumulazione di ricchezza cesserà di avere l’importanza sociale che le attribuiamo oggi, i nostri codici morali non saranno più gli stessi. Saremo finalmente in grado di buttare alle ortiche molti pseudo principi che ci affliggono da duecento anni, e che ci hanno spinto a far passare alcune fra le più ripugnanti qualità umane per virtù eccelse. Potremo finalmente permetterci di assegnare al desiderio di denaro il suo giusto valore. L’amore per il denaro – da non confondersi con l’amore per il denaro che serve a vivere meglio, a gustare la vita - , sarà agli occhi di tutti, un’attitudine morbosa e repellente, una di quelle inclinazioni a metà criminali e a metà patologiche da affidare con un brivido agli specialisti di malattie mentali.”(4)

John Maynard Keynes
Possibilità economiche per i nostri nipoti
Adelphi , 2009 , 5,50 euro

seguito da
Guido Rossi
Possibilità economiche per i nostri nipoti?


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(1) Pg. 23
(2) Pg. 23-24
(3) Pg. 28
(4) Pg. 25

2 commenti:

  1. Non conoscevo questo pensiero più "filosofico" e idealista di Keynes, interessante..
    Non entro nel merito delle previsioni/speranze dell'economista, comunque il buon John Maynard aveva buon gioco a scrivere di sol dell'avvenire e disgusto per i soldi: io so anche di un Keynes investitore che gestiva il suo patrimonio con rendimenti a doppia cifra! Un'attitudine morbosa e repellente.. ;-)

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    1. Ciao!!

      Ma guarda che Keynes non era un socialista ne tanto meno disprezzava il sistema capitalistico. Anzi, era la strada per raggiungere al benessere generale. Andava solo controllato che non sbandasse (da li le 5 regole). Se vuoi c'è anche un librino che scrisse dopo il suo viaggio in Unione Sovietica.

      Keynes era stato al servizio di sua maestà nelle colonie, dove aveva fatto l'amministratore.. quindi, tutt'altro che anti imperialista.

      Però vede che l'aumento costate della produttività porta a una diminuzione del lavoro.O meglio, può portare...

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