sabato 17 marzo 2012

Recensione:L'arte di ignorare i poveri


Qualsiasi persona civile condannerebbe un omicidio, a maggior ragione se è una strage che coinvolge molte persone. E a nessuno verrebbe in mente di dare la colpa dell’omicidio alla vittima. Così come nessuno, sapendo che è in gioco l’esistenza di una persona, si metterebbe a fare calcoli economici sui vantaggi e sugli svantaggi della sua scomparsa. Eppure questo è quello che avviene quando il discorso si sposta dall’omicidio alla povertà.

I due articoli raccolti nel libro “L’arte di ignorare i poveri” mostrano il modo in cui ci rapportiamo come società alla povertà. Il fenomeno della povertà è sempre esistito, e con esso sono state sempre prodotte risposte per rimuovere il problema.

Nel primo articolo, quello di Galbraith, vediamo come i conservatori, nel loro intento di favorire i ceti abbienti, abbiano prodotto un’ideologia che permette di far convivere feroci politiche antisociali a favore del capitale, con gli effetti di impoverimento e di penuria che queste stesse politiche provocano. Questa ideologia accompagna la nascita del capitalismo, partendo dal momento in cui le terre comuni vengono espropriate e si creano così masse impoverite in cerca di un lavoro per sopravvivere nelle città; lavoro che sarà fornito dal nascente capitalismo. Con esso nasce l’utilitarismo che sostiene il perseguimento del benessere maggiore per il maggior numero di persone. Con l’accettazione che qualcuno potesse essere escluso da questo benessere.

Nei secoli sono state trovate tante altre buone ragioni per ignorare la povertà. Si è portata la povertà come una qualità premiata nell’aldilà, per l’invidia del “povero” ricco che non ne avrebbe beneficiato (Bibbia); si è incolpata la lussuria dei poveri (Malthus); il darwinismo sociale ha sostenuto che la povertà avrebbe migliorato la razza umana, eliminando gli individui meno adatti a sopravvivere; nel ‘900 si è invece sostenuto che sarebbe economicamente inefficiente aiutare i poveri, in primis per loro stessi (perché toglierebbe incentivi ai più bravi della società e toglierebbe ai poveri la libertà della responsabilità). E anche quando questi fossero aiutati, l’aiuto sarebbe inutile, perché portato dallo stato, che per definizione (dei conservatori) è inefficiente e sprecone.

Il calcolo economico sulla povertà non è però una novità del ‘900. L’articolo di Swift si diverte a lanciare provocatoriamente una soluzione: il cannibalismo. Il testo è scritto in un perfetto stile economico e asciutto, con tono serio e con l’intento di convincere il lettore a sostenere la proposta. E vengono fatti precisi calcoli per stimare i benefici economici, sociali e di carattere internazionale derivanti dal cannibalismo. In particolare si propone di mangiare i bambini in tenera età, poiché la loro carne risulta particolarmente saporita e tenera. Il tutto accompagnato da “ricette” per poterli gustare meglio. E si nota come, con il cannibalismo dei bambini (dei poveri,naturalmente), si ottenga la doppia soluzione di sfamare delle persone e di ridurre il numero dei poveri. Ovviamente Swift, che vedeva tanto la povertà che colpiva l’Irlanda alla sua epoca, quanto il disinteresse verso di essa, si prende gioco delle soluzioni e delle ragioni dotte portate a loro sostegno, riproducendo lo stile e lo spirito di queste stesse proposte. Ed evidenziando la rimozione, che anche nella sua epoca, si faceva della povertà.

Purtroppo questi due begli articoli sono introdotti da un testo che sembra non coglierne affatto lo spirito. In esso si contrappone all’economia “cannibale” un’economia basata sulla decrescita. Come se la generalizzazione a tutti di forme di vita povere ci possa permettere di liberarci della povertà stessa. Certo, se tutti vivessimo come poveri, addirittura come i poveri di qualche secolo fa (che vivevano, almeno in occidente, peggio degli odierni poveri), sicuramente si sarebbero eliminate le disuguaglianze. Ma le si sarebbero appunto eliminate verso il basso, rendendo tutti poveri.

È bene ricordare quello che già Plutarco diceva (citato anche dal testo), cioè che “Lo squilibrio tra ricchi e poveri è il morbo più antico e fatale delle repubbliche”.

Citazione dal testo:


“Ammetto che questo cibo [i bambini poveri in tenera età] verrà a costare un po’ caro, e sarà quindi adattissimo ai proprietari terrieri, i quali, dal momento che hanno già divorato la maggior parte dei genitori, sembrano aver maggior titolo ad esso” Swift, Pag. 47

John Kenneth Galbraith
L’arte di ignorare i poveri
Asterios editore , 5 euro
con una premessa di Emiliano Bazzanella
"L'economia cannibale"
Seguito da
"Sul buon uso del cannibalismo"
di Jonathan Swift

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