giovedì 4 febbraio 2016

Un bilancio della Riforma Fornero. Ipotesi sugli effetti del Jobs Act di Renzi

La Fornero che piange mentre annuncia le riforme
Sono ormai passati quasi 5 anni dalla Riforma Fornero del mercato del lavoro. Quella riforma aveva come obiettivo quello di ridurre la disoccupazione in Italia e di ridurre il dualismo del mercato del lavoro (cioè la forte differenza di diritti tra contratti a tempo indeterminato e gli altri contratti). Una riforma che ha inciso così profondamente nel diritto del lavoro, ha ottenuto i risultati che si prefiggeva? E a partire da quei risultati, cosa possiamo dire del Jobs Act di Renzi?

Un'analisi degli effetti della Riforma Fornero ci viene fornita da questo articolo pubblicato tra gli studi della Confederazione Europea dei Sindacati.

Gli obiettivi della riforma erano sostanzialmente due : ridurre la disoccupazione; ridurre il dualismo nel mercato del lavoro italiano. Partiamo da un'analisi del mercato del lavoro italiano prima della riforma e delle trasformazioni che aveva ricevuto nei 15 anni precedenti.

Le riforme Treu e Biagi

È difficile descrivere il mondo del lavoro italiano in poche parole. Mi concentro su alcuni dati citati nell'articolo. Fin dagli anni '90 il lavoro in Italia si differenziava da quello di altri paesi per una disoccupazione più alta che altrove e per un tasso di partecipazione molto basso rispetto a quello europeo: solo il 51% della popolazione lavorava. Inoltre solamente il 57% dei lavoratori beneficiava del contratto a tempo indeterminato. A fronte di questo dato c'era una forte diffusione delle Partite Iva (32%) e dei contratti atipici (i Co.co.co). La protezione contro i licenziamenti ingiustificati copriva solo i lavoratori a tempo indeterminato in imprese sopra i 15 dipendenti (44%).

Le riforme Treu (governo Prodi, centro sinistra) e Biagi/Maroni (governo Berlusconi, centro destra) si sono proposte di modificare questa situazione creando nuovi contratti a tempo determinato (quindi non protetti contro i licenziamenti) e favorendoli rispetto a quelli a tempo indeterminato. Come sottolinea l'autore, la forte opposizione sindacale alla modifica dell'art. 18 ha impedito di lavorare sul cuore del problema: tutti ricordiamo i 3 milioni di persone della manifestazione a Roma.

Dal 1999 al 2007 (anno prima dell'inizio della crisi) l'occupazione è cresciuta di circa 2 milioni e mezzo di posti di lavoro. Di questi 2,3 Milioni non sono contratti a tempo indeterminato.  La disoccupazione è così scesa al 6,1% e il tasso di partecipazione è cresciuto al 65%. Quindi queste riforme sono riuscite? Non sembra. Questo aumento sembra sia stato causato (oltre che dalla crescita economica) dalla regolarizzazione di contratti irregolari, a partire da quelli di lavoratori stranieri (oltre 900 mila tra il 2000 e il 2005).

L'occupazione nella Grande Crisi


La variazione del tasso di disoccupazione durante la Grande Crisi del 2008-2013 (l'ultimo anno preso in considerazione dall'articolo) può essere divisa in due periodi.

Nel primo periodo, dal 2008 al 2011, la disoccupazione non varia in maniera sostanziale. In Italia passa dal 6,7% al 8,4%, nonostante l'economia abbia una caduta considerevole (specie nel 2009). Dopo la riforma Fornero, che viene varata nel 2011, la disoccupazione passa, in soli due anni, dal 8,4% al 12,7%, con un aumento di quasi il 50%. Una conseguenza politica di questa variazione sarà che, purtroppo, permarrà nella memoria dei lavoratori un ricordo positivo degli ultimi anni del Governo Berlusconi, un momento in cui, nonostante la crisi, l'occupazione aveva resistito. Mentre il giudizio sarà radicalmente negativo su tutti i governi che sono seguiti (Monti, Letta e Renzi).



Un dato da notare è che nello stesso periodo (2008-2013) la disoccupazione in Germania diminuisce: questa passa dal 7,4% al 5,2%, diminuendo quindi del 30%. È vero che in questi numeri sono compresi i Mini Job, lavori a basso salario e sovvenzionati dallo stato. In ogni caso si assiste a una redistribuzione dell'occupazione a beneficio della Germania, che sembra “beneficiare” della crisi.



Gli effetti della Riforma Fornero


L'evento che marca una rottura rispetto al periodo precedente e che da' il via (tra l'altro) alla riforma Fornero (ministro del governo Monti, succeduto a Berlusconi) è la lettera di Trichet e Draghi (rispettivamente governatore uscente e neo governatore della Bce) al governo italiano. Tra le altre cose questi chiedono esplicitamente

C'è anche l'esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d'impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. Dovrebbe essere adottata una accurata revisione delle norme che regolano l'assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi.”[1]

Appare chiaro quindi il riferimento all'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Qui, a parere dei due governatori, sta la causa della persistente disoccupazione italiana. Le pressioni della finanza internazionale sul debito italiano, la lettera dei due governatori e la debolezza del sindacalismo italiano sono finalmente riusciti a ottenere la riforma della protezione dai licenziamenti che veniva chiesta da oltre 30 anni. Come osserva l'autore

La riforma Fornero ha in qualche modo cambiato la direzione delle politiche del lavoro in Italia. Se i tentativi precedenti si concentravano nella flessibilità ai margini, la Riforma Fornero si propone di correggere l'asimmetria tra lavoratori dipendenti e atipici. Con la modifica dell'art.18 è la prima volta che la protezione dell'occupazione viene ridotta per i lavoratori a tempo indeterminato”[2]

Ma quali sono gli effetti della Riforma? Da un punto di vista occupazionale, la riforma non ha avuto alcun impatto[3]. In altri termini, non sono stati creati nuovi posti di lavoro grazie alla maggiore possibilità di licenziare.

In termini di riequilibrio verso i contratti a tempo indeterminato, la Riforma ha avuto gli effetti sperati? A guardare i dati ha avuto conseguenze negative. I contratti a tempo indeterminato, che prima della riforma erano il 20% di tutti i contratti sottoscritti, sono diventati il 16% a fine 2013.

Inoltre non è aumentata la percentuale di quelli che sono passati dai contratti atipici a quelli a tempo indeterminato: chi ha un contratto atipico continuerà a firmare contratti atipici anche dopo la Riforma Fornero.

La conclusione dell'autore è che

La Riforma Fornero si poneva come obbiettivo quello di affrontare due principali problemi, dell'aumento della disoccupazione dell'utilizzo dei contratti atipici.[…] Per due decenni l'art.18 è stato accusato di essere il principale ostacolo al raggiungimento di questi due obiettivi. L'analisi delle tendenze passate dell'occupazione in Italia non supportano questa tesi. Come non li supportano i cambiamenti osservati nel breve periodo dal 2012. Infatti la disoccupazione continua ad aumentare e l'occupazione a diminuire. I contratti temporanei restano la prima scelta dei datori di lavoro poiché la proporzione di lavoratori temporanei rimane costante e il numero di nuovi contratti temporanei aumenta. E il passaggio dai temporanei ai tempi indeterminati non è cambiata dopo la modifica dell'art.18”[4]

A partire dall'analisi della Riforma Fornero si possono azzardare alcuni giudizi sulla recente riforma “Jobs Act” del Governo Renzi?

La conclusione è che qualsiasi soluzione politica che si concentra sulla riduzione della protezione del lavoro difficilmente porterà risultati positivi. Questo è un risultato importante al momento, poiché il Governo Renzi, con il Jobs Act del 2015, si è mosso nella stessa direzione con la cancellazione dell'art.18 per i neo assunti. Qualsiasi soluzione politica che abbia come obiettivo quello di affrontare i problemi dell'occupazione in Italia dovrebbe partire dall'affrontare i problemi strutturali nell'economia italiana, cioè prima di tutto le differenze tra Nord e Sud e il bisogno di una transizione verso nuove attività economiche”[5]


Consigli di lettura sull'argomento:
La maggiore precarietà non riduce la disoccupazione. Appunti per Mario Monti, Elsa Fornero (e Giuliano Ferrara), E. Brancaccio: http://www.emilianobrancaccio.it/2012/02/03/la-maggiore-precarieta-non-riduce-la-disoccupazione/

 Recensione: A cosa serve l’articolo 18 http://pensierieconomici.blogspot.it/2012/05/recensione-cosa-serve-larticolo-18.html

Martin Myant, 2016. "Italy's labour market reforms of 2012: did they reduce unemployment?," Working Papers 14738, European Trade Union Institute (ETUI).

Note

[1] Il testo della lettera della Bce al Governo italiano http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-09-29/testo-lettera-governo-italiano-091227.shtml
[2] Myant, Pag. 23
[3] Myant, pag. 25
[4] Myant, Pag. 31
[5] Myant, Pag. 32

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